Se i file degli atti sono illeggibili dopo la seconda PEC è ammissibile la rimessione in termini

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Il deposito telematico degli atti processuali si perfeziona quando viene emessa la seconda PEC, ovvero la ricevuta di avvenuta consegna, da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia, come disposto dal d.l. n. 179/2012, art. 16-bis, comma 7, il quale ha anche aggiunto che, ferma l’applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 155 c.p.c., commi 4 e 5, il deposito è tempestivamente effettuato, quando la ricevuta di avvenuta consegna viene generata entro la fine del giorno di scadenza”.

 

Questo il principio espresso dalla prima Sezione della Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 31592 del 14 novembre 2023.

La vicenda trae origine dalla pronuncia del Tribunale per i Minorenni di Bologna che accolse il ricorso del P.M., dichiarando due soggetti minori in stato di adottabilità, e la quale i genitori presentarono appello.

Di rilevanza per quello che ci interessa è che insieme all’atto introduttivo gli appellanti avanzarono un’istanza di rimessione in termini, segnalando di avere presentato tempestivamente l’appello mediante deposito telematico. La busta telematica risultò accettata e consegnata, ma successivamente l’Ufficio giudiziario non comunicò alcun esito, e la busta risultò ancora in lavorazione. Dopo aver segnalato il problema alla Cancelleria, gli appellanti depositarono nuovamente l’atto, poiché la Cancelleria non poteva recuperare la precedente busta telematica.

La Corte d’appello di Bologna dichiarò inammissibile l’appello, considerandolo tardivo. La Corte ritenne che la mancata ricezione da parte degli appellanti della terza e quarta PEC non avesse inficiato la tempestività del deposito telematico, ma sottolineò la necessità che il contenuto della busta contenesse gli atti necessari. Nel caso in esame, si riteneva che non fosse stato possibile verificare il contenuto a causa della non apertura delle buste, che apparivano palesemente viziate.

Gli appellanti presentarono ricorso per cassazione, denunciando violazioni normative. Successivamente, con istanza di rimessione in termini, riferirono di aver ricevuto la PEC di esito di errore e necessità di verifiche solo dopo la richiesta di chiarimenti.

La Cassazione, dopo un’istanza di informazione scritta alla Corte d’appello, constatò che l’errore imprevisto nella busta telematica non era addebitabile agli appellanti e che il deposito telematico si perfezionava con la seconda PEC di consegna.

La Corte suprema ha accolto l’istanza, evidenziando che le buste telematiche erano apribili e contenevano gli allegati necessari (atto di appello, provvedimento impugnato e procura). Tale conclusione trova supporto nei seguenti fatti:

  1. intervenne un’interruzione involontaria nel procedimento di deposito telematico, e il sistema non generò la terza e quarta PEC;

  2. la parte appellata si costituì regolarmente, difendendosi nel merito, dimostrando di aver letto l’atto notificato senza obiezioni;

  3. la Corte d’appello non fornì certificazione sulla non leggibilità degli allegati alla busta telematica.

La Cassazione, pertanto, ha concluso che l’inammissibilità dell’appello era stata erroneamente dichiarata.

Il ricorso è stato dunque accolto, la sentenza impugnata annullata con rinvio alla Corte d’appello in una diversa composizione. 

Per approfondire:

- Cass. Civ. sez. I, 14 novembre 2023, n. 31592