Il ricorso per cassazione presentato con firma digitale con certificato scaduto o non ancora valido è inammissibile

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La Sezione Feriale della Corte di Cassazione, con la pronuncia in commento, ha affermato l’inammissibilità del Ricorso per cassazione presentato dalla difesa tramite Posta Elettronica Certificata (PEC), con firma digitale valida ma corredata da certificato scaduto.

Nel contesto specifico, la firma digitale apposta dal difensore, di tipo PADES, risultava scaduta precedentemente alla presentazione del ricorso, motivando la richiesta di dichiarazione di inammissibilità da parte del Sostituto Procuratore Generale.

Inizialmente, la Corte di Cassazione ha sottolineato la sua competenza a rilevare d’ufficio l’inammissibilità del ricorso, anche se non rilevata in sede di Corte d’Appello. Tale competenza si estende alla valutazione degli errores in procedendo, richiedendo alla Corte di operare un giudizio “anche del fatto”.

Condividendo le conclusioni della Procura, i giudici di legittimità hanno proceduto a una disamina del quadro normativo e giurisprudenziale relativo alla sottoscrizione digitale delle impugnazioni. La Corte ha basato la sua analisi sulla disciplina emergenziale dell’articolo 24, commi 6-bis e 6-sexies, lett. b) del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 176, adottato durante l’emergenza della pandemia da COVID-19.

L’interpretazione della suddetta disciplina ha escluso la causa di inammissibilità del ricorso derivante dalla mera irregolarità della sottoscrizione digitale, come nel caso del “certificato non attendibile”. L’articolo 24, comma 6-sexies, fa riferimento esclusivamente alla mancanza di sottoscrizione dell’impugnazione, non alla sua irregolarità. Inoltre, la giurisprudenza di legittimità ha escluso che l’omissione di uno specifico software possa determinare l’inammissibilità del ricorso, ribadendo che solo la mancanza di sottoscrizione può comportare l’inammissibilità dell’impugnazione.

La Corte ha evidenziato che le cause di inammissibilità di natura informatica sono tassative e di stretta interpretazione, aggiungendosi a quelle tradizionali. I giudici di legittimità hanno osservato che la normativa primaria e la regolamentazione tecnica del DGSIA non richiedono ulteriori formalità oltre alla sottoscrizione digitale o con firma elettronica qualificata, mediante le tipologie PAdES e CAdES, senza specifiche disposizioni sulla scadenza del certificato. Ma in mancanza di una disciplina esplicita in proposito, si applicano le norme del Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD), decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82. L’articolo 24, comma 4-bis, prevede che «l’apposizione a un documento informativo di una firma digitale o di un altro tipo di firma elettronica qualificata, basata su un certificato elettronico revocato, scaduto o sospeso, equivale a mancata sottoscrizione».

In virtù di questa disposizione, la Corte ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso, ritenendo configurata la causa di inammissibilità della mancata sottoscrizione di cui all’articolo 24, comma 6-sexies, lett. a), del decreto legge n. 137/2020, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176.

Si esclude, pertanto, la possibilità di invocare il principio del favor impugnationis, poiché si tratta di requisiti essenziali per garantire l’origine dell’impugnazione, l’autenticità e la completezza dell’atto, la cui assenza incide sulla validità stessa dell’atto.

I giudici di legittimità hanno sottolineato che questa disciplina è coerente con le disposizioni introdotte dalla cosiddetta Riforma Cartabia, la cui efficacia sarà attuata solo con l’emanazione dei relativi regolamenti esecutivi.

Per approfondire:

- Cass. pen., sez. feriale, ud. 10 agosto 2023 (dep. 10 novembre 2023), n. 45316