Il concetto di “dominio” ha una lunga storia nella filosofia e nel diritto, e si riferisce alla capacità di esercitare un potere o una facoltà su qualcosa o qualcuno. Il dominio può essere inteso in senso oggettivo, come il sistema delle norme giuridiche che regolano una determinata disciplina, o in senso soggettivo, come il diritto o l’interesse legittimo di una persona o di un’organizzazione su una cosa o su un rapporto. Ma può anche avere una dimensione sociale, come l’insieme delle istituzioni o degli ordinamenti giuridici che si danno norme e le fanno rispettare.
Il dominio lo si può esercitare anche su un nome, chiaramente questo se si rispettano i diritti altrui e se si ha una giustificazione valida per farlo, come vedremo in seguito. Oggigiorno l’esercizio del dominio su un nome lo esercita chi vuole registrare un sito internet con il proprio nome o con quello di un’azienda, di un marchio o di un prodotto, registrando quindi un c.d. “nome a dominio”.
Quella di “nome a dominio” è una definizione tecnica che indica specificamente l’identificativo alfanumerico di un sito web su internet. Più precisamente esso consiste in una stringa alfanumerica che rappresenta la traduzione operata dal DNS (Domain Name System) che traduce e gestisce gli indirizzi IP in modo da consentirne un più facile utilizzo da parte dell’utente umano. Esso svolge una duplice funzione: distintiva, da un lato, e identificativa dell’attività economica svolta sul web da un soggetto, sia esso persona fisica o giuridica, dall’altro.
Il rapporto tra il concetto filosofico-giuridico di dominio e la definizione tecnica di nome a dominio è complesso e non univoco. Ampliando il concetto accennato in apertura di questo contributo, si può sostenere che, da un lato, il nome a dominio sia una manifestazione del dominio soggettivo del titolare sulle risorse informatiche associate al sito web. In questo senso, quello sul nome a dominio sarebbe un diritto esclusivo e opponibile a terzi, che conferisce al titolare la facoltà di usare, godere e disporre del bene informatico. Da un altro lato, però, si può sostenere che il nome a dominio sia invece una manifestazione del dominio oggettivo del sistema normativo che regola la disciplina dei nomi a dominio. In questo senso, allora, il nome a dominio avrebbe una mera funzione tecnica, subordinata al rispetto delle regole stabilite dall’autorità competente. Da un ulteriore punto di vista, poi, si potrebbe sostenere addirittura che il nome a dominio abbia una dimensione sociale, in quanto rappresenta l’identità e la reputazione di una persona o di un’organizzazione sul web. In questo senso, il nome a dominio sarebbe da ritenere come un bene comune, che richiede la tutela degli interessi legittimi dei vari soggetti coinvolti.
Spostando l’osservazione dal piano filosofico a quello pratico, e più precisamente a quello giurisprudenziale, possiamo vedere come in un primo momento i giudici riconducessero la natura giuridica dei nomi a dominio a quella dei numeri di telefono, considerandoli semplici indirizzi privi di funzione distintiva. Poi, via via, la giurisprudenza si è evoluta a favore dei segni distintivi dell’impresa (con esclusivo riferimento a quei nomi a dominio non riconducibili direttamente a persone fisiche), riconoscendo quindi nel nome a dominio una valenza economica e una capacità di identificare i prodotti e i servizi offerti dall’impresa titolare. Tale ultima impostazione è stata poi definitivamente confermata dal legislatore che nel Codice della proprietà industriale ha espressamente riconosciuto al nome a dominio la natura di segno distintivo dell’impresa, inserendolo tra i segni atipici tutelabili ai sensi dell’art. 22.
Vi è da dire, però, che nonostante ai nomi a dominio dotati di capacità distintiva venga riconosciuta la stessa tutela riservata ai marchi, oltre che l’applicabilità delle disposizioni relative alla concorrenza sleale, l’assegnazione avviene in barba ai principi fondamentali della tutela giuridica dei segni distintivi (quello di territorialità e quello di specialità o relatività merceologica) tramite un criterio di priorità temporale (first come first served) ed è concessa da apposite organizzazioni o enti a ciò preposte da un ente centrale di controllo statunitense denominato ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers).
Il principio del first come first served, prevede che il singolo nome a dominio spetti a chi per primo lo registra presso l’autorità competente. Tuttavia, la registrazione non conferisce automaticamente il diritto di usarlo in modo esclusivo e illimitato. Infatti, il nome a dominio ben potrebbe entrare in conflitto con altri diritti preesistenti, come il marchio, l’insegna, il nome o il cognome di una persona, ed in questi casi, il titolare del diritto pregiudicato ben potrebbe agire in giudizio per far valere la propria pretesa e ottenere l’annullamento o il trasferimento del nome a dominio illegittimo. A tal fine, occorre dimostrare che il nome a dominio registrato da terzi sia uguale o confondibile con il proprio segno distintivo e che ne sia stato fatto un uso sleale o abusivo, in violazione delle norme sulla concorrenza.
Criticità principale derivante da tale sistema di assegnazione è rappresentata dal fenomeno del c.d. cybersquatting, consistente in registrazioni effettuate in serie di un elevato numero di nomi a dominio, cioè una vera e propria forma di accaparramento, che nel corso del tempo ha generato numerosi contenziosi dinanzi all’autorità giudiziaria (con non poche complicanze relative alla competenza territoriale), per la cui soluzione è necessario fare riferimento alle norme sulla proprietà industriale. E l’art. 12 c.p.i., infatti, sancisce che i segni distintivi dell’impresa fra cui i nomi a dominio non possono essere registrati se a causa dell’identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità dell’attività di impresa, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico. All’art. 22 c.p.i., poi, si legge che è vietato adottare come segno distintivo un segno uguale o simile all’attui marchio se a causa dell’identità o dell’affinità tra l’attività d’impresa dei titolari di quei segni ed i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione o di associazione fra i due segni per il pubblico.
Ai sensi dell’art. 118 c.p.i., l’avente diritto può proporre domanda di rivendica contro chi violi il citato art. 22 c.p.i. Inoltre, è prevista anche una tutela cautelare dei nomi a dominio illegittimamente registrati ex art. 133 c.p.i.
Mentre invece, qualora i nomi a dominio dovessero riferirsi ad una persona fisica, si potrebbe allora ricorrere alla tutela civilistica del nome ex artt. 6-9 c.c., nonché alla generale disciplina del fatto illecito ex art. 2043 c.c.
Va detto, comunque che la legge italiana prevede anche alcuni strumenti alternativi di risoluzione delle controversie sui nomi a dominio, come la mediazione e l’arbitrato. Questi metodi sono più rapidi ed economici rispetto al processo ordinario e consentono di raggiungere una soluzione negoziata o imposta da un terzo imparziale.
Ulteriore criticità è rappresentata dal fatto che la validità dei nomi a dominio dipende dalla conformità ai requisiti di distintività, veridicità e liceità, ma non esiste un criterio chiaro e univoco per valutare tali requisiti, né un controllo preventivo da parte dell’autorità competente. Inoltre, la registrazione dei nomi a dominio avviene, come visto, secondo il consolidato principio del first come, first served, ma non esiste una procedura trasparente e imparziale per verificare la legittimità della richiesta e per prevenire eventuali abusi o conflitti con diritti preesistenti. Poi, la trasferibilità dei nomi a dominio è subordinata al consenso del cedente e del cessionario, ma non esiste una forma scritta obbligatoria per il contratto di cessione, né una registrazione pubblica dello stesso, con le relative e conseguenti problematiche.
Insomma, in conclusione di questa breve analisi, si può affermare che la normativa italiana non prevede una disciplina specifica e organica per i nomi a dominio, ma si limita a riconoscere la loro natura di segni distintivi e a applicare le regole generali in materia di proprietà intellettuale e concorrenza sleale. Questo comporta una serie di problemi e incertezze, sia per i titolari dei nomi a dominio che per i terzi che intendono contestarli o rivendicarli. In particolare, si pongono questioni relative alla validità, alla registrazione, alla trasferibilità, alla tutela giurisdizionale e alla risoluzione delle controversie dei nomi a dominio.
Sarebbe forse maggiormente opportuno prevedere una disciplina ad hoc per i nomi a dominio, che ne regoli in modo chiaro e coerente gli aspetti sostanziali e processuali, tenendo conto delle peculiarità tecniche e funzionali di questo strumento di identificazione on-line. Una possibile fonte di ispirazione potrebbe essere il regolamento europeo sui nomi a dominio .eu, che stabilisce criteri uniformi per la registrazione, la gestione, la trasferibilità e la tutela dei nomi a dominio con tale estensione.
Sarebbe poi auspicabile armonizzare la normativa italiana con le linee guida e le raccomandazioni internazionali in materia di nomi a dominio, in particolare quelle emanate dall’ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers), l’organismo che sovrintende alla gestione globale dei nomi a dominio.
Per approfondire:
- G. Sena, Nomi a dominio e diritti di proprietà intellettuale: profili sostanziali e processuali, Milano, 2019. - A. Stazi, Nomi a dominio e marchi: conflitti e soluzioni, Padova, 2018. - B.R. Carrascal, Nomi a dominio: il quadro normativo italiano, CyberLaws, 2018. - F. Salerno, Nomi a dominio e diritto internazionale privato, Torino, 2017. - A. Mantelero, I nomi a dominio (parte 1): disciplina giuridica, registrazione e orientamento giurisprudenziale, Meliusform, 2011. - G. Sena, Il nome di dominio e la tutela del marchio. Tutela giuridica e aspetti generali, in Diritto dell'Informatica, 2009. - B. Conforte, I nomi a dominio: profili giuridici nazionali ed internazionali, Milano, 2004.
Nicola Nappi
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