Il Conte Mascetti ha citato in giudizio il Corriere di Crapanzano unitamente al suo direttore responsabile e ad un giornalista, autore di una serie di articoli ritenuti lesivi della propria onorabilità e reputazione, lamentando nello specifico la conduzione di una vera e propria campagna diffamatoria a suo danno, consistita nella pubblicazione sulle pagine di cronaca locale di diversi articoli relativi al suo coinvolgimento in varie vicende giudiziarie e chiedendo quindi al Tribunale di condannarli in solido al risarcimento dei danni subiti, derivanti dal reato di diffamazione a mezzo stampa.
Fondamento della propria domanda è il mancato rispetto dei canoni entro i quali deve ritenersi legittima l’attività giornalistica, avendo i convenuti riportato in modo generico ed improprio alcune circostanze di particolare gravità, ed avendo tra l’altro confusamente attribuito all’attore alcuni ulteriori capi d’imputazione, relativi invece ad uno soltanto degli altri imputati nello stesso procedimento penale.
I convenuti, dal canto loro, hanno eccepito di essersi mantenuti invece ben all’interno dei confini stabiliti per l’esercizio legittimo del diritto di cronaca, essendosi limitati a diffondere la generica ma veritiera notizia del rinvio a giudizio degli imputati, anziché procedere senz’altro ad una specifica attribuzione di colpe, ed avendo peraltro rispettato in pieno i canoni della continenza formale nell’esposizione della notizia.
Il Tribunale ha respinto la domanda, escludendo la sussistenza del reato di diffamazione. Il Conte ha quindi impugnato la sentenza contestando l’illogicità della decisione, ma la Corte d’Appello ha in buona sostanza confermato la non sussistenza del reato di diffamazione.
Il Conte ha quindi proposto ricorso per cassazione, che è stato accolto.
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La Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso il reato di diffamazione senza accertare se il giornalista fosse incorso o meno in errore involontario, richiamando i principi già espressi nella sentenza n. 2271/2005, in base ai quali la lesione dell’onore e della reputazione altrui non si verifica quando la diffusione a mezzo stampa delle notizie costituisce legittimo esercizio del diritto di cronaca, condizionato all’esistenza dei seguenti presupposti:
- la verità oggettiva della notizia pubblicata;
- la pertinenza, e cioè l’interesse pubblico della conoscenza del fatto;
- la continenza, e cioè la correttezza formale dell’esposizione.
In particolare, quanto al primo presupposto, soltanto la correlazione rigorosa tra fatto e notizia realizza l’interesse pubblico all’informazione, sotteso all’art. 21 Cost., e rende non punibile la condotta ai sensi dell’art. 51 c.p., sempre che ricorrano anche la pertinenza e la continenza. Ne consegue che il giornalista ha l’obbligo di controllare l’attendibilità della fonte informativa, a meno che non provenga dall’autorità investigativa o giudiziaria, e di accertare la verità del fatto pubblicato, restando altrimenti responsabile dei danni derivati dal reato di diffamazione a mezzo stampa, salvo che non provi l’esimenti di cui all’art. 59, ultimo comma, c.p. e cioè la sua buona fede. A tal fine la c.d. “verità putativa” del fatto non sussiste per la mera verosimiglianza dei fatti narrati, essendo necessaria la dimostrazione dell’involontarietà dell’errore, dell’avvenuto controllo della fonte e della attendibilità di essa, onde vincere dubbi e incertezze in ordine alla verità dei fatti narrati.
Nicola Nappi
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