Il contratto telematico, come abbiamo avuto modo di analizzare più volte (premere qui e poi qui per vedere) è una forma di accordo tra le parti che si avvale di mezzi informatici per trasmettere le proprie dichiarazioni di volontà. Come abbiamo visto, questa modalità di contrattazione presenta alcune questioni relative all’individuazione della legge applicabile, soprattutto nei casi in cui le parti non abbiano espresso una scelta al riguardo (premere qui per approfondire).
In generale, la legge applicabile ai contratti telematici segue i principi stabiliti dalla Convenzione di Roma del 1980 e dal Regolamento Roma I del 2008, che prevedono la libertà delle parti di scegliere la legge applicabile al loro rapporto contrattuale. In mancanza di tale scelta, si applica la legge del paese con cui il contratto presenta i legami più stretti, che si presume essere il paese in cui ha la residenza abituale la parte che deve effettuare la prestazione caratteristica del contratto.
Tuttavia, nei contratti telematici possono sorgere delle difficoltà nel determinare il luogo di residenza abituale delle parti, soprattutto se si tratta di imprese o di consumatori che operano attraverso la rete Internet. Inoltre, possono esserci dei problemi nel definire il momento e il luogo di conclusione del contratto, a seconda che si segua il procedimento ordinario previsto dall’art. 1326 c.c. o quello speciale previsto dall’art. 1327 c.c.
Per risolvere queste questioni, si possono utilizzare alcuni criteri interpretativi forniti dalla dottrina e dalla giurisprudenza, già illustrati in un precedente contributo, cui si rimanda (premere qui per leggerlo).
Tra le varie alternative possibili per semplificare l’individuazione della legge applicabile ai contratti telematici, quella sulla quale ci soffermeremo oggi è il ricorso agli smart contracts, ovvero a quei contratti basati sulla tecnologia blockchain che si autoeseguono in modo automatico e decentralizzato secondo le regole predefinite dalle parti.
Urge dunque definire preliminarmente il contesto in cui operano gli smart contracts, ossia la blockchain, una tecnologia basata su registri distribuiti, condivisi, replicabili, accessibili simultaneamente, architetturalmente decentralizzati su basi crittografiche tali da consentire la registrazione, la convalida, l’aggiornamento e l’archiviazione di dati sia in chiaro che ulteriormente protetti da crittografia verificabili da ciascun partecipante, non alterabili e non modificabili (per una più esaustiva spiegazione premere qui).
Uno smart contract è dunque un programma per elaboratore che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse.
Il termine fu coniato nel 1994 da Nick Szabo, un informatico che osservando un distributore automatico, descrisse lo smart contract quale un protocollo di transazione computerizzato che esegue i termini di un contratto. Pertanto, proprio come in un distributore automatico il bene viene consegnato soltanto a condizione che vi sia stato il pagamento, attraverso uno smart contract, il bene sarà consegnato o il servizio sarà erogato soltanto a condizione che vi sia stato il pagamento. In altre parole, lo smart contract può essere considerato come un codice eseguibile (che esegue i termini di un contratto).
Il nostro legislatore all’art. 8-ter del d.l. 14 dicembre 2018, n. 135 ha dato per la prima volta una definizione normativa di smart contract, e, nello specifico: «Si definisce ‘“smart contract’”un programma per elaboratore che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse».
Ora, venendo al titolo del presente contributo, dalla richiamata definizione sembrerebbe facile evincere che, alla base dell’automazione, ci sarebbe in ogni caso la scelta delle parti di attuare il procedimento che porta alla conclusione dello smart contract. Sono sempre le parti, cioè, a scegliere tale procedimento. Come alcuni autori hanno giustamente osservato, alla base dello smart contract, in altri termini, vi è un negozio di configurazione dell’algoritmo.
Ed allora la conseguenza di tutto ciò non può che essere quella che agli smart contract sarà applicabile il diritto dei contratti, in quanto compatibile. Del resto la principale caratteristica degli smart contract è quella dell’impossibilità di interrompere l’esecuzione. Si tenga sempre a mente l’esempio del distributore automatico. Una volta inserito il credito e selezionato il prodotto, l’utente non può più interrompere l’esecuzione.
Certo questo strumento potrebbe risolvere diversi problemi primo fra tutti la mancata esecuzione del contratto, tuttavia, la riconduzione nella categoria del contratto, consentirebbe ad esempio allo smart contract concluso su una blockchain tra un professionista e un consumatore di applicare la disciplina di tutela del consumatore.
Inoltre, bisogna tener conto del fatto che la memorizzazione di un documento informatico attraverso l’uso di tecnologie basate su registri distribuiti produce gli effetti giuridici della validazione temporale elettronica di cui all’art. 41 del Regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 luglio 2014.
E’ bene precisare però che il contenuto di uno smart contract non si limita alla presenza del solo codice esecutivo ma include anche il codice che descrive l’accordo stesso. L’obiettivo principale è quello di delineare le procedure attraverso le quali si può convertire il linguaggio naturale utilizzato in un contratto tradizionale e nelle disposizioni normative in codici con struttura binaria.
La sfida che allora si prospetta per il futuro riguarda inevitabilmente la traduzione delle norme giuridiche in linguaggio informatico, con la consapevolezza che la legittimità dell’algoritmo sarà garantita solo se programmato nel rispetto di tali norme.
Nel perseguire questa sfida, è inevitabilmente il legal design ad assumere un ruolo chiave. Quest’ultimo facilita il dialogo tra professionisti del diritto, esperti informatici e ingegneri, contribuendo così a garantire che gli algoritmi rispecchino fedelmente le disposizioni legali. L’integrazione armoniosa di competenze legali e tecnologiche diventa quindi essenziale per il successo di questa transizione verso gli smart contracts basati su blockchain nel contesto delle relazioni professionali e consumeristiche.
Per approfondire:
- N. Szabo, Smart Contracts,1994; - M. Atzori, Blockchain Technology and Decentralized Governance: is the State still necessary?, SSRN, 2015; - M. Finck, Blockchain Regulation and Governance in Europe, 2018; - M. Maugeri, Smart contracts e disciplina dei contratti, Bologna, 2021; - F. Di Ciommo, Smart contract e (non-) diritto. Il caso dei mercati finanziari, in Nuovo diritto civile, 2019; - A.M. Benedetti, Contratto, algoritmi e diritto civile transnazionale: cinque questioni e due scenari, in Riv. dir. civ., 2021.
Nicola Nappi
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