L’intelligenza artificiale in ambito forense: l’avvocato tra obsolescenza e rinascita

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La narrazione catastrofista secondo cui l’intelligenza artificiale sarebbe destinata a sostituire l’avvocato è priva di fondamento tecnico e giuridico. In realtà, la figura dell’avvocato evolve, assumendo nuove competenze e responsabilità. L’intelligenza artificiale si presenta non come antagonista, ma come alleata: uno strumento capace di amplificare l’efficacia dell’attività forense, alleggerire il carico di lavoro ripetitivo e liberare risorse per attività ad alto valore intellettuale.

Per affrontare la transizione digitale, l’avvocato dovrà acquisire competenze tecniche complementari: capacità di interazione con sistemi automatici, consapevolezza dei limiti dei modelli predittivi, familiarità con i linguaggi di programmazione giuridica, come suggerito anche dal centro CodeX di Stanford.

La formazione giuridica non può più essere monodimensionale: l’avvocato del futuro dovrà dominare non solo norme e giurisprudenza, ma anche logiche computazionali e principi di data governance.

E’ bene dunque domandarsi cosa può fare (già oggi) l’intelligenza artificiale per gli avvocati, e le applicazioni attuali dell’intelligenza artificiale negli studi legali sono numerose e in continua espansione:

  • e-discovery e gestione documentale: classificazione automatica, analisi e sintesi di documenti giuridici (es. ThoughtRiver, Kira Systems);
  • automazione contrattuale: redazione e verifica di contratti standardizzati (es. Contract Express, LawGeex);
  • legal analytics: predizione di esiti giudiziari e analisi di giurisprudenza (es. Lex Machina o ROSS Intelligence);
  • chatbot legali: interazione automatizzata con i clienti;
  • compliance e risk assessment: identificazione di clausole rischiose nei contratti (es.: Kira Systems).

Queste tecnologie consentono di ridurre tempi, costi e margini di errore, rendendo la consulenza più efficiente, trasparente e accessibile, ma il pericolo maggiore non è la sostituzione dell’avvocato, quanto piuttosto la sua marginalizzazione. Se cioè il professionista abdica alla propria funzione critica, delegando in modo acritico le scelte all’algoritmo, perde la centralità del proprio ruolo.

Ma vediamo meglio.

Sistemi di document review come Kira Systems sono in grado di identificare clausole rilevanti o anomalie contrattuali, ma non possono valutarne la pertinenza strategica rispetto agli obiettivi del cliente. Oppure ancora piattaforme di legal analytics, come Lex Machina o ROSS Intelligence, forniscono statistiche su probabilità di esito di una causa o su comportamenti passati di giudici e avvocati, ma non possono sostituire la valutazione discrezionale che integra quelle probabilità con contesto, timing, relazioni, sensibilità umana.

In questi casi il rischio nasce quando il professionista si limita ad accettare passivamente l’output dell’algoritmo, trattandolo come verità assoluta. In quel momento non è l’intelligenza artificiale che lo sostituisce, ma è lui stesso che si autoesclude dalla funzione interpretativa.

Il fenomeno di deskilling — ovvero la riduzione delle competenze necessarie a svolgere una determinata professione — è ben noto in ambito tecnologico. Nell’avvocatura, il rischio è che, delegando analisi contrattuali, ricerche giurisprudenziali e persino redazione automatica di atti a sistemi di intelligenza artificiale, il professionista disimpari a farle da sé, con tre principali conseguenze: innanzitutto una perdita di autonomia tecnica, poi una riduzione della capacità argomentativa ed infine una certa fragilità reputazionale e contrattuale rispetto ai clienti e ai colleghi più “augmented”.

    Come ben sottolineato nel Quaderno dell’Ordine degli Avvocati di Milano di luglio 2021a, conformarsi pedissequamente al suggerimento della macchina viola i principi deontologici di indipendenza e competenza (art. 10 e 14 codice deontologico forense), e favorisce il fenomeno della deskilling: una progressiva erosione delle competenze analitiche e strategiche. Va sottolineato, infatti, che l’art. 14 del Codice Deontologico impone l’obbligo di competenza diretta, non delegata cioè a software.

    Ma poi bisogna anche dire che il rapporto avvocato-cliente è fondato su un vincolo fiduciario profondo. Il cliente si affida all’avvocato non solo per la corretta applicazione della norma, ma per ricevere consulenza personalizzata, per essere ascoltato e compreso nelle proprie esigenze e soprattutto per sentirsi rappresentato nel confronto con la controparte e con lo Stato. E nessun algoritmo, per quanto potente, può replicare questo tipo di relazione umana. Se l’avvocato delega all’intelligenza artificiale la spiegazione del diritto, la strategia difensiva, la valutazione dei rischi, il cliente non percepirà più il valore umano del suo intervento, e cercherà alternative (più rapide, più economiche, più impersonali).

    Vi è poi Infine, un pericolo sistemico: se la tecnologia legale si evolve senza una partecipazione attiva dell’avvocato — come co-progettista, validatore, controllore — la professione non sarà più soggetto, ma oggetto del cambiamento. Lo studio legale diventa un punto terminale della catena decisionale automatizzata, ridotto a front office per software di consulenza. Il giurista diventa un utilizzatore passivo, incapace di incidere sull’architettura normativa e tecnologica che regola il suo stesso lavoro.

    Ed in un siffatto scenario, l’avvocato non è più sostituito, ma reso irrilevante.

    Ed allora l’adozione dell’intelligenza artificiale dovrebbe comportare un ripensamento strutturale dello studio legale. Immagino un passaggio dalle tariffe orarie a pacchetti tecnologico-professionali, o ancora alla creazione di team multidisciplinari, vedendo accanto al giurista, magari un data scientist, un informatico, o anche un project manager, e poi (e qui lo dico con molta amarezza) anche una nuova forma di valore reputazionale, determinato anche dal rating digitale e dall’esperienza algoritmica del cliente.

    La consulenza legale diventa così prodotto e servizio (sic!), integrando competenze umane e soluzioni automatiche in un unico ecosistema.

    Ed allora, cari colleghi (immagino infatti che chi è arrivato sin qui nella lettura di questo contributo debba essere necessariamente un collega!) l’avvocato non è destinato all’obsolescenza, ma alla rinascita professionale. La sfida non è sopravvivere alla tecnologia, ma saperla governare. Solo chi saprà integrare conoscenza giuridica, etica professionale e intelligenza artificiale potrà continuare a essere garante di diritti, interprete di complessità, costruttore di fiducia.

    Ed è proprio in un ecosistema dominato da strumenti automatici che il valore dell’avvocato — come interprete, garante, mediatore e stratega — diventa insostituibile. Ma a condizione che non abdichi al proprio ruolo, né lo confonda con quello della macchina. L’algoritmo può aiutare, ma la responsabilità è, e deve restare, umana.

    Per approfondire:

    - R. SUSSKIND, L’avvocato di domani, Torino, 2019;

    - L. LOEVINGER, Jurimetrics. The Next Step Forward, in Minnesota Law Review, Vol. 33, 1949;

    - M. PATRINI – G. PIROTTA, Intelligenza artificiale e impatto sulla professione dell’avvocato, in Innovazione, intelligenza artificiale e giustizia, Milano, Quaderno dell’Ordine, 2021, pp. 10-24;

    - P. LESSIO, Intelligenza artificiale e giustizia, in Innovazione, intelligenza artificiale e giustizia, Milano, Quaderno dell’Ordine, 2021, pp. 25-33;

    - V. NARDO, Prefazione, in Innovazione, intelligenza artificiale e giustizia, Milano, Quaderno dell’Ordine, 2021, p. 4 ss.
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    Nicola Nappi

    ⚖️ Diritto commerciale, assicurativo, bancario, delle esecuzioni, di famiglia. Diritti reali, di proprietà, delle locazioni e del condominio. IT Law. a Studio Legale Nappi
    *Giurista, Master Universitario di II° livello in Informatica Giuridica, nuove tecnologie e diritto dell'informatica, Master Universitario di I° livello in Diritto delle Nuove Tecnologie ed Informatica Giuridica, Corso di Specializzazione Universitario in Regulatory Compliance, Corso di Specializzazione Universitario in European Business Law, Corso di Perfezionamento Universitario in Criminalità Informatica e Investigazioni digitali - Le procedure di investigazione e di rimozione dei contenuti digitali, Corso di Perfezionamento Universitario in Criminalità Informatica e Investigazioni digitali - Intelligenza Artificiale, attacchi, crimini informatici, investigazioni e aspetti etico-sociali, Master Data Protection Officer, Consulente esperto qualificato nell’ambito del trattamento dei dati.
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