Il concetto di giustizia predittiva introduce un nuovo orizzonte epistemologico e operativo. Il diritto, da sempre luogo della valutazione e della ponderazione soggettiva, viene infatti progressivamente infiltrato da logiche predittive, fondate sull’analisi di big data e pattern comportamentali.
In un simile contesto, la “funzione predittiva” del sistema giudiziario si emancipa dalla mera previsione dell’esito del processo, per trasformarsi in una vera e propria anticipazione della condotta futura.
Ma tutela predittiva e sorveglianza automatizzata non sono affatto sinonimi. E distinguerle è oggi, a nostro sommesso avviso, più urgente che mai.
Come ricordava il Prof. Franco Bricola, già in epoca pre-digitale si discuteva del ruolo anticipatorio del diritto penale, nel suo movimento verso la “prevenzione generalizzata”. Gli algoritmi, però, spingono oltre questa logica, diventando strumenti di valutazione ex ante non solo del rischio, ma dell’identità stessa del soggetto sottoposto a controllo.
L’ipotetico uso di modelli predittivi nella giustizia penale minorile o nelle misure di prevenzione antimafia ne è un esempio chiaro. L’individuo non è giudicato per ciò che ha fatto, ma per ciò che potrebbe fare, sulla base di correlazioni statistico-comportamentali.
E il rischio che ne deriva è altrettanto evidente: una giustizia profilata e stigmatizzante, fondata su dati più che su fatti.
Un sistema che analizza i dati dei cittadini, li confronta con banche dati giudiziarie (e non), e suggerisce misure restrittive o interventi di prevenzione potrebbe agire sotto l’egida della tutela.
Ma quando queste misure vengono automatizzate o basate su raccomandazioni algoritmiche, la funzione garantista del diritto si svuota!
Come bene osserva Gianluca Santoni, vi è il serio rischio che:
«l’algoritmo, nato per assistere, diventi un organo parallelo di vigilanza e prevenzione»
In altre parole: l’automazione della giustizia non è neutra. Essa plasma la realtà che intende descrivere, generando un controllo invisibile ma pervasivo.
E a tal proposito mi viene in mente la sociologa Shoshana Zuboff che ha coniato il concetto di “capitalismo della sorveglianza”, evidenziando come i dati siano oggi il principale motore di potere e influenza.
In effetti, a pensarci nel diritto questa logica si innesta pericolosamente nella funzione giurisdizionale, introducendo meccanismi di controllo predittivo che ricordano il panopticon foucaultiano: nessuno vede l’occhio che guarda, ma tutti sanno di essere osservati.
Anche nel campo civile, strumenti predittivi per cause seriali (ad es. opposizioni a sanzioni amministrative o ricorsi tributari) rischiano di classificare a priori i ricorsi “destinati alla soccombenza”, scoraggiando l’accesso alla giustizia e violando il principio di eguaglianza delle parti.
Ciò che dunque è lecito chiedersi è se vi possa essere o meno un equilibrio, o perlomeno un uso “costituzionalmente” sostenibile.
Sia ben chiaro, qui non si tratta di demonizzare l’algoritmo, bensì di delimitarne giuridicamente le funzioni, al solo fine di evitare o limitare i rischi.
Una tutela predittiva potrebbe ritenersi accettabile solo se trasparente, interpretabile e soprattutto contestabile.
È necessario ribadire che la discrezionalità giurisdizionale non è un errore statistico, ma un diritto del giudice e del cittadino.
E dobbiamo dire che il legislatore europeo, con il Regolamento sull’intelligenza artificiale, ha cercato di tracciare una prima cornice di limiti, ma il percorso resta lungo. E come ben nota l’avv. Michele Iaselli, l’approccio europeo mira a:
«promuovere un uso antropocentrico dell’AI, che non spogli l’uomo della sua centralità»
Per approfondire
- M. IASELLI, Giustizia predittiva: luci e ombre dell’uso dell’AI nei sistemi giudiziari, in Innovazione, intelligenza artificiale e giustizia, 2021, p. 15;
- G. SANTONI, Giustizia predittiva e processo penale: riflessioni critiche, in Giustizia predittiva, 2022, p. 8;
- S. ZUBOFF, Il capitalismo della sorveglianza, Milano, 2020, p. 73;
- F. BRICOLA, Funzioni preventive del diritto penale e diritto alla libertà, Torino 1981, p. 29.
Nicola Nappi
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